in F. PIAZZI, A. GIORDANO RAMPIONI, Multa per aequora. Letteratura, antologia e autori della lingua latina, vol. 1 – Dall’età arcaica all’età di Cesare, Bologna 2004, p. 590; cfr. CICERONE, Difesa di Marco Celio, intr. di E. Narducci, trad. di C. Giussani, n. di C. Lazzarini, Milano 2010, pp. 112-115.
Cicerone presenta Clodia, vera e sola accusatrice di M. Celio.
32. Sed intellegis pro tua praestanti prudentia, Cn. Domiti[1], cum hac sola rem esse nobis. Quae si se aurum Caelio commodasse[2] non dicit, si uenenum ab hoc sibi paratum esse non arguit, petulanter facimus, si matrem familias[3] secus quam matronarum sanctitas postulat nominamus. Sin ista muliere remota[4] nec crimen ullum nec opes ad oppugnandum M. Caelium illis[5] relinquuntur, quid est aliud quod nos patroni facere debeamus, nisi ut eos qui insectantur repellamus? Quod quidem facerem uehementius, nisi intercederent mihi inimicitiae cum istius mulieris uiro – fratrem uolui dicere[6]; semper hic erro. Nunc agam modice nec longius progrediar quam me mea fides[7] et causa ipsa coget: nec enim muliebris umquam inimicitias mihi gerendas putaui, praesertim cum ea quam omnes semper amicam omnium potius quam cuiusquam inimicam putauerunt.

Ma nel tuo grande acume tu intendi perfettamente, o Gneo Domizio, che la causa è tutta e soltanto con lei. Se ella dirà di non aver prestato l’oro a Marco Celio, se ella non lo accuserà di aver preparato per lei il veleno, noi saremmo veramente indiscreti se parlassimo di una madre di famiglia diversamente da quel che convenga alla onorabilità delle matrone. Ma se, per contro, liquidata costei, nulla rimanga in piedi né dell’accusa, né dei mezzi a cui si appoggia, che altro dovremmo fare noi, avvocati di Celio, se non respingere chi ci aggredisce? Ed io lo farei anche con maggior violenza, se non mi trattenesse la mia inimicizia con il marito… ehm, volevo dire, con il fratello: sempre lo stesso errore! Parlerò dunque con moderazione, e non andrò oltre quel che esigono il mio dovere e la necessità della causa. Non è mai stato nei miei desideri di crearmi inimicizie femminili; specialmente con colei che tutti hanno sempre considerato piuttosto l’amica di tutti, che la nemica di qualcuno.
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Note:
[1] Cn. Domiti: (voc.) Gneo Domizio Calvino era il magistrato preposto al tribunale (praetor). Aveva presieduto anche il processo in cui Calpurnio Bestia era stato accusato de ambitu, cioè di brogli elettorali per la carica di aedilis del 57 a.C., dallo stesso Celio e, difeso da Cicerone, ne era uscito assolto. Calvino fu tribuno della plebe nel 59 e console per due volte (53 e 40 a.C.). Cesariano nella guerra civile, combatté a Farsalo nel 48 a.C. e a Tapso nel 46. Tenne il governo della Hispania citerior come proconsole dal 39 al 36.
[2] commodasse = commodauisse.
[3] matrem familias: sta qui a indicare una persona degna di rispetto, come sottolinea l’espressione seguente matronarum sanctitas postulat.
[4] Sin ista muliere remota: ista ha valore fortemente spregiativo; si contrappone la figura di Clodia, meritevole di disprezzo in quanto non ha le qualità di pudore e costumatezza richieste alle donne romane.
[5] illis: «a quelli», cioè gli accusatori.
[6] fratrem uolui dicere: Cicerone, con una forma di autocorrezione (correctio o reprehensio) carica di malizia, finge di sbagliare chiamando Clodio marito prima e, correggendosi subito, fratello: allude così a rapporti incestuosi, di cui correvano voci insistenti e a cui fa riferimento più volte anche in altre orazioni (de har. resp. 18, 38; 20, 42; 27, 59; Pro Sest. 17, 39) e nelle epistole (ad Att. II 1, 4; ad fam. I 9, 4). Cicerone alluderà anche in seguito a presunti rapporti incestuosi fra Clodia e Publio Clodio, fratelli per parte di padre: Clodio fu nemico personale di Cicerone, e nel 58 lo aveva fatto bandire da Roma. Passato al partito dei populares (di cui divenne esponente di primo piano), aveva mutato per ragioni di opportunità la forma originaria del proprio nome gentilizio, Claudius in quella di Clodius, con la chiusura del dittongo tipica del dialetto e della lingua, appunto, popolare.
[7] fides: presso i Romani indica il rapporto di reciproca lealtà e l’impegno assunto tra patronus e cliens, nel matrimonio tra coniugi, nei trattati fra popoli.
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DOREY T.A., Cicero, Clodia and the ‘Pro Caelio’, G&R 5 (1958), pp. 175-180.