Vitellio, il despota ghiottone

Il breve principato di Vitellio (aprile-dicembre del 69) si colloca nel cosiddetto “anno dei quattro imperatori”, quando all’indomani della morte di Nerone (9 giugno del 68) ebbe inizio una guerra civile che vide avvicendarsi in rapida successione Galba, Otone, Vitellio, appunto, e Vespasiano. Vitellio, scelto alla fine del 68 dal vecchio Galba come comandante delle legioni di stanza nella Germania inferior, fu acclamato imperatore dai suoi soldati a Colonia Agrippina (l’od. Köln); ma dopo otto mesi di governo, le truppe dislocate in Oriente insorsero, deponendo Vitellio a Roma e imponendo Vespasiano. Questo il quadro storico in cui si staglia una figura che Svetonio tratteggia a tinte fosche, insistendo sugli eccessi alimentari e sulla smodata crudeltà, che non esita neanche davanti al matricidio.

Au. Vitellio Germanico Augusto. Busto, marmo, 100-150. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

[13. 1] Sed uel praecipue luxuriae saeuitiaeque deditus epulas trifariam semper, interdum quadrifariam dispertiebat, in iantacula et prandia et cenas comisationesque, facile omnibus sufficiens uomitandi consuetudine. indicebat autem aliud alii eadem die, nec cuiquam minus singuli apparatus quadringenis milibus nummum constiterunt. [2] famosissima super ceteras fuit cena data ei aduenticia a fratre, in qua duo milia lectissimorum piscium, septem auium apposita traduntur. hanc quoque exuperauit ipse dedicatione patinae, quam ob immensam magnitudinem clipeum Mineruae πολιούχου dictitabat. in hac scarorum iocinera, phasianarum et pauonum cerebella, linguas phoenicopterum, murenarum lactes a Parthia usque fretoque Hispanico per nauarchos ac triremes petitarum commiscuit. [3] ut autem homo non profundae modo sed intempestiuae quoque ac sordidae gulae, ne in sacrificio quidem umquam aut itinere ullo temperauit, quin inter altaria ibidem statim uiscus et farris †paene rapta e foco manderet circaque uiarum popinas fumantia obsonia uel pridiana atque semesa.

[14.1]Pronus uero ad cuiuscumque et quacumque de causa necem atque supplicium nobiles uiros, condiscipulos et aequales suos, omnibus blanditiis tantum non ad societatem imperii adlicefactos uario genere fraudis occidit, etiam unum ueneno manu sua porrecto in aquae frigidae potione, quam is adfectus febre poposcerat. [2] tum faeneratorum et stipulatorum publicanorumque, qui umquam se aut Romae debitum aut in uia portorium flagitassent, uix ulli pepercit; ex quibus quendam in ipsa salutatione supplicio traditum statimque reuocatum, cunctis clementiam laudantibus, coram interfici iussit, uelle se dicens pascere oculos; alterius poenae duos filios adiecit deprecari pro patre conatos. […] [5] suspectus et in morte matris fuit, quasi aegrae praeberi cibum prohibuisset, uaticinante Chatta muliere, cui uelut oraculo adquiescebat, ita demum firmiter ac diutissime imperaturum, si superstes parenti extitisset. alii tradunt ipsam taedio praesentium et imminentium metu uenenum a filio impetrasse, haud sane difficulter.

[13.1] Dedito soprattutto alla gozzoviglia e alla crudeltà, [Vitellio] pranzava sempre tre, e talora quattro volte al giorno, facendo distinzione tra la colazione, il pranzo, la cena e l’orgia, e riuscendo a sopportare ogni eccesso per l’abitudine di vomitare. Si invitava da sé, nello stesso giorno, ora da uno ora da un altro e a nessuno questi banchetti vennero mai a costare meno di quattrocentomila sesterzi. [2] Famosissimo fra tutti fu il banchetto offertogli dal fratello, in occasione della sua venuta: si dice che vi siano stati serviti duemila pesci delle migliori qualità e settemila uccelli. Ma superò anche questo quando inaugurò un vassoio che, per la smisurata grandezza, aveva chiamato “lo scudo di Minerva, protettrice di città”. Dentro questo vassoio aveva fatto mescolare fegati di scari, cervella di pavone e di fagiano, lingue di fenicottero e lattigine di murena, che aveva mandato a prendere con triremi e navarchi fin nel regno dei Parti e fino allo stretto di Cadice. [3] Ma non era soltanto goloso; era anche un ghiottone rozzo e sordido, e non riuscì mai a controllarsi, nemmeno durante le cerimonie religiose o in viaggio: davanti agli altari s’ingozzava seduta stante con i pani di farro e le carni strappate alle fiamme del sacrificio e nelle taverne, durante i viaggi con i cibi fumanti e persino con i resti avanzati dal giorno prima.

[14.1] Inoltre, sempre pronto a mandare chiunque a morte e al supplizio, per qualsiasi motivo, uccise con ogni sorta di inganno uomini di nobile estrazione, propri compagni e condiscepoli, dopo averli attratti con ogni blandizie e persino con la speranza di associarseli all’impero. Giunse al punto di porgere con le proprie mani il veleno a uno di questi, dopo averlo mescolato all’acqua fresca che gli aveva chiesto da bere per alleviare la febbre. [2] Quanto agli usurai, ai creditori, ai pubblicani che a Roma gli avessero chiesto di restituire un prestito o, per strada, di pagare un pedaggio, difficilmente se ne potrebbe trovare uno solo da lui risparmiato. Fattone arrestare uno mentre era venuto a ossequiarlo, dopo averlo mandato al supplizio lo fece richiamare indietro, e mentre tutti già lodavano la sua clemenza, diede ordine di ucciderlo sul posto, in sua presenza, aggiungendo: “Voglio saziarmi gli occhi!”. Alla pena di morte di un altro aggiunse i due figli di lui, che avevano cercato di intercedere per il padre. […] [5] Venne anche sospettato di aver fatto morire la propria madre, proibendo che le fosse portato del cibo mentre era ammalata, perché una donna dei Catti, che ascoltava come un oracolo, gli aveva vaticinato che avrebbe governato saldamente e a lungo soltanto se fosse sopravvissuto alla propria madre. Altri dicono che lei stessa abbia pregato il figlio di avvelenarla, disgustata del presente e temendo per l’avvenire: senza che, del resto, egli avesse opposto la minima difficoltà.

Scena di banchetto. Mosaico, V sec. d.C. da Aquileia. Musée de le Château de Boudry

L’intento di Svetonio è illustrare due aspetti della personalità di Vitellio: la sfrenatezza (luxuria), che l’autore concentra sugli eccessi alimentari, e la crudeltà (saevitia), tratteggiate con dovizia di esempi. Inizialmente insiste sulla gula profunda, che induce l’imperatore a banchettare lautamente quattro volte al giorno, e intempestiva ac sordida («incapace di trattenersi e rozza»), che gli fa letteralmente strappare dagli altari il cibo votivo e persino trangugiare gli avanzi delle taverne. Sono quindi enumerati alcuni dei suoi efferati quanto immotivati delitti, che culminano, forse, con l’uccisione della madre Sestilla, solo per assecondare il vaticinio di una profetessa germanica.

In particolare, le intemperanze di Vitellio a tavola si esplicano in memorabili e costosissimi ricevimenti, come quello offertogli dal fratello (che imbandisce nientemeno che duemila pesci e settemila uccelli!) o quello in cui egli inaugura un enorme piatto da portata, lo “scudo di Minerva”, che fa colmare con ogni tipo di leccornie. Tali erano infatti considerate, per quanto strano possa sembrare, le interiora di pesce, quali murena o scaro, o le cervella di pavoni e fagiani e le lingue di fenicottero. Il tema del banchetto pantagruelico trova larghi riscontri in letteratura, a partire naturalmente dal Satyricon di Petronio, in cui così ampio spazio occupano la cena a casa del parvenu Trimalchione e la descrizione delle mirabolanti pietanze che vi vengono servite; tra di esse un vassoio circolare con cibi a tema zodiacale ricorda da vicino l’enorme prelibata patina fatta allestire da Vitellio. Tra gli altri possibili paralleli vale la pena di menzionare i banchetti dell’imperatore Elagabalo (218-222), descritti nell’Historia Augusta: fegatini di triglia, cervella di fenicottero e di tordo, teste di pappagallo, fagiano e pavone.

Il tema della gola sembra essere il filo conduttore nella descrizione della personalità di Vitellio. Tra i suoi vari delitti, infatti, Svetonio ricorda il caso di un tale, venuto a rendergli omaggio, che egli mandò al supplizio, velle se dicens pascere oculos («dicendo di volersi saziare gli occhi»). Così anche la sua saevitia è presentata come un aspetto della luxuria, della sua sregolatezza.

***

Riferimenti bibliografici:

P.B. Bober, The Black or Hell Banquet, in Oxford Symposium on Food and Cookery 1990: Feasting and Fasting, London 1990, 55-57.

C. Damon, «Portior utroque Vespasianus»: Vespasian and His Predecessors in Tacitus’s “Histories”, Arethusa 39 (2006), 245-279.

C. Davenport, The Conduct of Vitellius in Cassius Dio’s Roman History, Historia 63 (2014), 96-116.

A. Ferrill, Otho, Vitellius, and the Propaganda of Vespasian, CJ 60 (1965), 267-269.

P. Garrett, Sit in medio: Family and Status in Suetonius’ Vitellius, AClass 61 (2018), 53-68.

I. Goh, It All Comes Out. Vomit as a Source of Comedy in Roman Moralizing Texts, ICS 43 (2018), 438-458.

J. Master, Nobody Knows You Like Your Mother. Tacitus, Histories 2.64 on Vitellius’ True Identity, M&D 63 (2009), 191-194.

L. Trentin, Deformity in the Roman Imperial Court, G&R 58 (2011), 195-208.

P. Venini (ed.), C. Svetonio Tranquillo, “Vite di Galba, Otone, Vitellio, Torino 1977.

Annotazioni e osservazioni dei lettori

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.