di F. Pascual, Aristotele e la bioetica, Alpha Omega 10 (2007), 423-452 (cit. passim).
[…] È importante aver presente che la biologia aristotelica si trova in stretto rapporto con la sua teoria sulle quattro cause (materiale, formale, efficiente, finale). Speciale rilevanza ha l’idea di finalità nei viventi, sottolineata continuamente negli scritti di Aristotele e contrapposta all’idea di casualità propria delle teorie meccanicistiche del suo tempo[1]. Per Aristotele, la natura non fa niente invano, ma tutto è orientato alla ricerca del meglio (nella misura del possibile). Questa idea diventa una costante della biologia aristotelica[2], e ci fa capire il rapporto che esiste fra organo e funzione: una funzione (una certa capacità operativa e integrata nell’insieme del vivente secondo le necessità vitali) non esiste perché un vivente ha un determinato organo, ma l’organo esiste perché un vivente ha la necessità di avere tale funzione[3].
L’uomo, un vivente speciale
In questa cornice possiamo collocare la visione aristotelica sull’uomo, un essere speciale perché, oltre al fatto di avere le caratteristiche dei viventi dotati di sensibilità e locomozione (è, a pieno diritto, un animale), possiede anche una dimensione tutta particolare, dovuta al suo intelletto (noûs), che gli permette certe attività (intellettive, volitive) che non dipendono in tutto dalla corporeità. Sull’anima indica, già dall’inizio del testo, che lo studio dell’anima potrebbe non essere competenza esclusiva del fisico (cioè, di chi studia le realtà non separate dalla materia e soggette così alla generazione e alla corruzione), ma forse anche del «metafisico»[4], se rimane provato che ci siano atti dell’uomo dovuti all’anima senza dipendere dal corpo[5]. Quelle parti o dimensioni dell’anima umana che dipendono da organi corporali periscono con essi, ma la parte dell’anima che non dipende dalla corporeità sarebbe immortale[6]. Lo studio di tale dimensione viene sviluppato specialmente nel libro III di Sull’anima, e così risulta legittimo considerare l’uomo come un vivente speciale, in quanto il suo intelletto (almeno l’intelletto attivo), il noûs, non dipende totalmente dalla materia. Questa sua proprietà spiega pure perché tale intelletto sia immortale e, allo stesso tempo, non possa essere trasmesso in modo ordinario, come si riceve il patrimonio corporale attraverso la riproduzione, ma viene ricevuto dall’esterno[7].
L’uomo, dunque, in quanto animale nel quale è presente un intelletto che lo fa speciale, è un essere dotato di razionalità, capace di svolgere un’attività teoretica; è un essere divino, molto superiore agli animali[8]. Grazie alla sua ragione l’uomo può essere educato nelle diverse dimensioni della sua anima. Infatti, una parte della sua anima irrazionale è in grado di ascoltare e di rispettare certe regole che gli vengono tramite la parte razionale, il che spiega l’educazione morale e la possibilità di sviluppare le virtù etiche[9], mentre un’altra parte dell’anima irrazionale non è controllabile, cioè è pienamente irrazionale, e potremmo chiamarla «vegetativa» in quanto regola la nutrizione e la crescita[10]. L’etica perfino ha un ruolo essenziale nella conservazione della vita e della salute umana, grazie a questo rapporto fra l’anima razionale e quella parte dell’anima irrazionale aperta alla ragione.
Tutti gli sforzi umani orientati a raggiungere il miglior stile di vita non sono in grado d’impedire l’arrivo della vecchiaia e del momento fatale della fine del percorso temporale. L’invecchiare e il morire sono, dunque, due affezioni involontarie (non scelte e, normalmente, nemmeno volute) che appartengono in modo essenziale alla nostra condizione naturale[11].
Occorre aggiungere una parola sulla diversità degli esseri umani. Secondo Aristotele, non tutti gli esseri umani sono «uguali». La differenza più rilevante consiste nell’essere in grado o meno di esercitare le attività razionali. Sotto questo profilo, per esempio, il bambino si troverebbe in una condizione di una certa «inferiorità», sottomesso alle decisioni di chi ne è tutore fintanto che viva secondo gli impulsi e non sia in grado di agire secondo ragione[12]. Qualcosa di simile si può dire sullo schiavo: benché partecipi della ragione, non la «possiede» in modo proprio, e sarebbe naturalmente orientato a vivere sottomesso ad altri[13].
Più complesso è il tema della differenza e complementarietà fra l’uomo (il maschio) e la donna. La differenza sessuale risulta centrale per poter permettere la riproduzione (come abbiamo già detto, il vivente cerca di lasciare nel mondo qualcuno simile a sé), e così si spiega che i due sessi non possono vivere separati fra di loro[14]. Ma la diversità sessuale non origina una diversità di specie: uomo e donna sono della stessa specie[15].
Sussistono, comunque, differenze che spiegano l’esistenza di un rapporto diverso fra l’uomo e la donna, ma un rapporto che si colloca nella prospettiva della vita domestica e che risulta simile al rapporto del governante con i governati. Questo implica accettare la dignità della donna ma, allo stesso tempo, «difendere» la sua situazione di obbedienza nei confronti del marito[16].
In altre parole, e contro un modo d’interpretare Aristotele distorto, la donna e lo schiavo non sono esseri sotto-umani, perché entrambi hanno la ragione (benché non la «possiedano»), e sotto questo profilo sono «identici» agli uomini; ma da un punto di vista «sociologico» e fisiologico sono diversi, in quanto che per la situazione concreta e per alcune caratteristiche fisiche (non spirituali) sono stati situati in una condizione che Aristotele (in modo sbagliato, secondo noi), considera d’inferiorità nei confronti degli uomini liberi. Ma esistono dei testi dove si mostra l’idea di uguaglianza (o quasi) fra uomo e donna, specialmente nell’Etica nicomachea. In questa opera si afferma, per esempio, che la vera giustizia domestica si ha soprattutto fra uomo e donna, più che verso il figlio e gli schiavi[17]; e si afferma pure che il rapporto fra uomo e donna è fondato non solo sulla procreazione, ma va oltre essa e porta verso l’aiuto vicendevole, producendo sia piacere che utilità, e perfino in esso può esserci qualcosa di simile all’amicizia fondata sulla virtù (la quale esige, secondo lo Stagirita, un rapporto paritario)[18].
Rimangono, tuttavia, alcuni testi delle opere biologiche dove si parla della donna come risultato di una certa «deviazione» riproduttiva nei confronti dell’uomo (che sarebbe l’essere umano in senso pieno), ma una deviazione necessaria, in quanto che senza di essa non potrebbe esserci riproduzione né continuità del genere umano[19]. In altre formule non molto felici, Aristotele parla della donna come se fosse un «maschio sterile», oppure un «maschio mutilato»[20], per il fatto di non poter produrre uno sperma maturo, ma solo uno sperma impuro (al quale manca il principio dell’anima), oppure una deviazione nella natura[21]. In questa visione, per quanto riguarda la riproduzione il maschio sarebbe superiore e migliore, perché è lui causa del movimento, mentre la femmina sarebbe soltanto come la materia[22]. Tuttavia, sarebbe proprio la materia (il fattore femminile) a determinare se il concepito sarà uomo oppure donna per il modo con il quale modifica l’azione causale dello sperma[23], mentre oggi sappiamo che è lo sperma di origine maschile che «determina» in certo senso il sesso genetico del concepito, mentre le altre caratteristiche sono il risultato della «sintesi» fra l’informazione genetica dei due gameti.
La sessualità aperta alla generazione della vita
Aristotele dedica numerosi studi al tema della riproduzione. Tale fenomeno, come abbiamo visto, risulta essenziale nei viventi, e permette la continuità biologica della specie, mentre gli individui concreti si trovano sottomessi ad un processo inevitabile che conduce alla morte.
Riprendendo un’idea presente in Platone[24], Aristotele ricorda che gli individui temporali arrivano ad una forma di «eternità» grazie alla riproduzione, nel lasciare dietro di sé un altro simile al progenitore[25], benché, come è ovvio, tale «eternità» sia solo un tentativo provvisorio e insoddisfacente (almeno per le creature razionali) per contrastare la caducità dell’esistenza terrena.
Centriamo adesso la nostra attenzione sulla riproduzione umana, che in buona parte dipende dalle analisi aristoteliche sulla riproduzione animale. I principi della generazione sono, come abbiamo visto, l’uomo e la donna nella loro complementarietà sessuale: senza tale complementarietà sarebbe impossibile la permanenza della vita umana sulla terra. L’uomo e la donna sono «strumenti» della generazione, senza aver fatto una scelta su questo punto, perché è naturale il voler lasciare un essere simile a sé. Sotto questo profilo, l’uomo è simile agli altri viventi, animali e piante[26].
Per Aristotele, tuttavia, il maschio e la femmina sono principi della riproduzione in modi diversi. Il maschio è origine del movimento e della forma (grazie allo sperma), in grado di generare in un altro. La femmina, invece, è portatrice della materia, e gode anche della facoltà di generare in sé[27]. L’idea che il seme maschile sarebbe la causa efficiente e il mestruo femminile la causa materiale si trova pure in Metafisica (VIII 4, 1044a34-b1), dove si parla anche delle cause formale e finale dell’uomo. In un altro passo della Metafisica (VII 9, 1034a33-b4) si dice che lo sperma ha la forma in potenza, il che permette che un uomo sia in grado di generare un altro uomo, grazie allo sperma…
Occorre ricordare che è l’essere in atto, l’adulto, a poter generare grazie allo sperma (che non è ancora compiuto), mentre non è vero l’opposto (cioè, che sarebbe falso affermare che prima viene il seme e dopo l’uomo)[28].
Secondo le conclusioni alle quali poté arrivare, Aristotele considera che il maschio è un essere in grado di produrre lo sperma, che sarebbe una specie di residuo utile del cibo; la femmina, invece, può solo produrre un tipo di sperma impuro (anche residuo utile del cibo), atto per dare la materia al concepito, sperma che viene espulso nelle mestruazioni[29].
L’argomento usato da Aristotele per arrivare all’anteriore conclusione è doppio: in primo luogo, non si possono formare simultaneamente due secrezioni spermatiche; in secondo luogo, la mestruazione non ci sarebbe se la donna fosse in grado di produrre spermi maturi[30]. Sebbene per il mondo contemporaneo queste teorie siano ormai superate, è giusto sottolineare come Aristotele riconosce la necessità di mettere insieme due fattori, maschile e femminile, e come rifiuta la possibilità di una generazione (negli esseri sessuati) senza il concorso delle due figure genitoriali[31]. In altre parole, la femmina non si limita ad offrire il luogo dello sviluppo per il seme[32], ma va oltre per il fatto di dare la materia (cioè, il corpo, come vedremo in seguito) sulla quale possa agire lo sperma maschile[33]. Non è giusto, allora, dire che per Aristotele il figlio sarebbe solo frutto del maschio, come è stato affermato da qualche autore[34].
Lo sperma maschile è causa motrice (efficiente) e non partecipa con la sua materia nel nuovo individuo, ma solo con la sua causalità, specialmente attraverso il calore presente in esso come pneûma o soffio vitale[35]; in certo senso, tale sperma possiede un’anima, ma in potenza[36]. L’essere in potenza dello sperma maschile prima del suo venir deposto nella donna è, tuttavia, diverso dal modo di essere in potenza che sarebbe proprio dell’embrione ottenuto come risultato della fecondazione[37]. Si potrebbe applicare all’embrione la distinzione dei due tipi di potenza che sono evidenziati parlando dell’essere sapiente in Sull’anima: l’uomo è sapiente in quanto può imparare (primo senso), l’uomo è sapiente in quanto ha già imparato, ma non usa in un momento concreto il suo sapere (secondo senso). Per la vita dell’embrione sarebbe da applicare il primo senso di potenza, in quanto già c’è vita umana, ma questa non si è sviluppata in tutte le sue capacità[38].
Con queste proposte, Aristotele si oppone in modo frontale alla teoria antica che oggi riceve il nome di «pangenesi», secondo la quale lo sperma avrebbe origine da tutte le diverse parti del corpo. Secondo Aristotele, basta allo sperma la sua condizione di causa efficiente capace di agire sulla causa materiale (il mestruo femminile) per poter giustificare il fatto che da un essere umano nasce un altro essere umano[39].
Per quanto riguarda la fecondità umana, Aristotele raccoglie diverse osservazioni sulla pubertà, i suoi segni e il tempo nel quale l’uomo e la donna conservano la propria fertilità, come anche sui momenti ottimali per generare. Secondo lo Stagirita, l’uomo inizia a segregare seme (sperma) ai 14 anni, ma il seme sarebbe fertile solo dai 21 anni fino ai 65-70 anni (circa). La donna comincia ad essere fertile dalla pubertà (benché l’età migliore per il concepimento va rimandata alcuni anni), mentre perde la propria fertilità più precocemente, intorno ai 45-50 anni[40]. Ci sono cause, nella donna e nell’uomo, che provocano una diminuzione oppure un’assenza della fecondità, e su di esse Aristotele offre diverse spiegazioni[41].
Un dato da non perdere di vista è quello della «qualità dei concepiti», perché da coppie troppo giovani nascono figli più piccoli e più deboli, almeno fra gli animali; occorre, allora, cercare l’età migliore al fine di procreare bene i propri figli[42]. Sotto questo profilo, e in un modo che ricorda le proposte di Platone nella Repubblica e nelle Leggi sulla procreazione, Aristotele offre indicazioni concrete per perseguire figli ben concepiti, stabilendo limiti di età per il matrimonio che permettano che i coniugi siano contemporaneamente ben disposti alla procreazione: dai 18 anni per le donne e intorno ai 37 per gli uomini. Si devono pure stabilire limiti oltre i quali non sarebbe opportuno generare, perché da genitori troppo avanti in età possono nascere figli imperfetti di mente oppure deboli di forza[43]. Ma su questo torneremo più avanti.
Per quanto riguarda i momenti normali nei quali si producono i rapporti sessuali nella specie umana, non ci sono epoche specifiche (mentre fra gli animali è più frequente avere tempi concreti per i rapporti sessuali), perché l’essere umano può fare l’amore in qualsiasi epoca dell’anno[44]. Tuttavia, sarebbe opportuno aver presenti, per i rapporti orientati al concepimento di figli sani, il momento climatico, i venti, ecc., secondo i consigli dei medici e dei fisici[45].
Dal concepimento dell’uomo fino alla sua nascita
Negli animali vivipari, l’azione dello sperma sul mestruo (materia) provoca quel movimento e quel riscaldamento necessario perché venga fuori una forma specifica, cioè, perché avvenga l’inizio dell’esistenza di un nuovo individuo appartenente ad una specie determinata[46].
Il risultato della prima mescolanza fra lo sperma maschile (che offre il principio di animazione) e il residuo (mestruo, sperma impuro) della femmina è un embrione[47]. In esso, il corpo procede dalla femmina, mentre l’anima avrebbe la sua origine dal maschio[48]. La vita del nuovo essere, maschio o femmina a seconda del tipo di azione dello sperma sulla materia (mestruo) si sviluppa all’interno della donna, trovandosi così vicino al cibo necessario per il proprio sviluppo[49]. La specie umana, come accade nel cavallo e in altri vivipari, genera nell’interno della femmina un essere simile all’adulto, senza produrre prima un uovo dal quale venga fuori, in un momento successivo, l’embrione[50].
L’embrione avrebbe, in certo modo, tutti gli organi in potenza[51], benché non siano presenti in alcune delle diverse tappe di crescita nel grembo materno.
Lo sviluppo procede, dunque, attraverso diverse tappe, una intrauterina, e un’altra dopo la nascita[52]. Tale sviluppo si può capire solo tramite un principio che sia sempre presente nell’embrione, fin dall’inizio, cioè l’anima (che non si trova separata, ma sarebbe «parte» del nuovo individuo). La formazione degli organi non si realizza in modo simultaneo, allo stesso tempo, ma in un certo ordine e gradazione[53].
Uno dei primi organi ad essere formati è il cuore, che è principio del vivente e permette l’originarsi degli altri organi[54]. Dopo la formazione del cuore, che appare molto precocemente negli embrioni, magari nei primissimi giorni di sviluppo[55], si susseguono le diverse fasi di sviluppo presentate nel libro II di Riproduzione degli animali, secondo un modello, come abbiamo già indicato, di tipo epigenetico: con una gradazione nel susseguirsi degli organi e dell’attuazione delle diverse potenzialità insite dall’inizio della vita dell’embrione.
Un punto che ha suscitato molte discussioni riguarda la teoria che è nota sotto il nome di «animazione successiva», che si colloca nella cornice della visione epigenetica appena menzionata[56]. L’embrione non avrebbe fin dall’inizio la stessa anima dell’adulto, ma riceverebbe per primo l’anima vegetativa e poi, nelle seguenti fasi di sviluppo, l’anima sensitiva e, nel caso degli uomini, l’intelletto (che, come abbiamo visto, viene dal di fuori), perché sarebbe assurdo considerare l’embrione come inanimato, come privato di vita[57]. Per Aristotele, infatti, non si è animale fintanto che non si è sviluppata la percezione sensoriale, cioè, fino a una certa tappa del proprio percorso vitale, prima della quale l’animale ha soltanto una vita di vegetale[58].
Tuttavia, se abbiamo presente che lo sperma maschile è la fonte e la causa dell’anima, come abbiamo visto in precedenza, allora la teoria dell’animazione successiva non sembra un punto fisso nel pensiero aristotelico, ma forse una spiegazione che illustra come si fanno presenti in atto certe possibilità che all’inizio (cioè, secondo la moderna embriologia, dalla fecondazione) erano presenti soltanto in potenza, il che è detto esplicitamente in Riproduzione degli animali II 3, 736b13-15[59].
Nella cornice della teoria dell’animazione successiva è giusto menzionare un testo di Ricerche sugli animali che ha dato luogo a interpretazioni fuorvianti[60]. In questo passo Aristotele indica che «sembra» che il feto femminili cominci a muoversi verso il giorno 90 nel lato destro, mentre il feto maschili inizierebbe a muoversi verso il giorno 40 nel lato sinistro. Tuttavia, il testo riconosce che non ci sia una rigorosa esattezza su questi dati, e ricorda come alle volte la femmina si muove nel lato destro, e come su questi segnali esiste una variazione secondo il più e il meno. In altre parole, Aristotele risulta molto cauto e sembra affidarsi ai dati del tempo. Perciò, risulta erroneo dire che secondo lo Stagirita il maschio inizia a esistere nel giorno 40 e la femmina nel giorno 90[61], quando il testo, in modo assai prudente, non parla dell’inizio dell’esistenza, ma dei segni di sviluppo che sarebbero diversi a seconda del sesso del concepito (che è già un esistente).
La crescita dell’essere umano non avviene soltanto nel grembo materno[62], ma continua dopo il parto, come abbiamo detto in precedenza. Aristotele osserva come l’essere umano nasce, dopo 9 mesi (possono essere di meno o di più), in una situazione particolare, molto imperfetta; anzi, i bambini appena nati si configurano esternamente come imperfetti, avendo sviluppato di più la parte superiore del corpo, e di meno quella inferiore. Questo spiega perché i bambini dormono tanto tempo nelle prime fasi di crescita, dovendo continuare il loro sviluppo per diversi mesi[63]. Hanno, dunque, bisogno di più tempo per armonizzare il corpo, e hanno bisogno, come abbiamo indicato prima, di educazione, per poter mettere ordine e disciplina a quella parte irrazionale che è in grado di ascoltare la ragione e di cercare i propri desideri in modo giusto, secondo l’idea di medietà della quale abbiamo già parlato.
Il bisogno che hanno i figli di assistenza e di educazione viene sorretto dalla naturale amicizia che sorge in ambito familiare, specialmente fra i genitori e i figli. Infatti, come indica Aristotele, i genitori amano i figli come se fossero una parte di sé, e i figli possono amare i genitori quando scoprono che esistono in quanto derivano da loro. Tuttavia, sono le madri ad amare di più, perché hanno un maggiore coinvolgimento nell’esperienza della procreazione[64].
La morte come fine inevitabile del percorso vitale
Avevamo già visto come il vivente si caratterizza per tre fenomeni fondamentali: nutrizione (alla quale va associata la generazione), crescita, deperimento. Il processo della vita porta a tutti verso una fine inesorabile, la morte, preceduta, nei percorsi «normali», dall’invecchiamento. La morte si produce quando il vivente «espelle» la sua anima, quando lascia di essere animato, il che significa che rimane un qualcosa, il corpo, ma privato dell’anima[65].
La morte è un fenomeno che appartiene a tutti gli animali[66]. Si tratta di un fatto inevitabile, un evento necessario: ogni vivente, per necessità, morirà un giorno, in quanto costituito da contrari. Ciò che invece non è necessario è la modalità secondo la quale possa avvenire la morte, particolarmente in ambito umano, dove le nostre scelte possono mutare circostanze e fattori che rimandano oppure accelerano l’arrivo del momento conclusivo della propria esistenza[67]. La morte appartiene, dunque, in modo radicale all’esistenza umana, e questo permette di affermare che l’essere mortale sarebbe un «proprio», cioè, una qualificazione inerente all’uomo in quanto vivente[68]. Aristotele spiega la morte con l’idea dell’abbandono del principio vitale che risulta più facile per il fatto che col passar del tempo diminuisce il caldo; usa perfino l’immagine di una fiamma, debole e fragile nella vecchiaia, che si spegne in modo indolore quando arriva il momento finale[69].
Uno dei segni più chiari per capire se la morte sia o non sia avvenuta sarebbe la cessazione del battito cardiaco. Come osserva Aristotele, il cuore, primo organo ad essere formato nelle fasi embrionali, è anche l’organo che per ultimo smette di lavorare quando arriva la morte[70].
Alla luce dell’inevitabilità della morte, il desiderio di non morire, un desiderio presente in molti uomini, risulta «erroneo», in quanto ha come oggetto una meta irraggiungibile, un fatto impossibile[71].
Le modalità della morte sono diverse, come è già stato detto. In una classificazione preliminare notiamo due possibilità contrapposte: la morte naturale, dovuta alla specifica costituzione del proprio corpo che percorre diverse tappe fino a quella della vecchiaia; oppure, la morte violenta, dovuta a qualche causa esteriore allo stesso agente[72].
[…]
Ciao, è sempre bello trovare post di filosofia su internet anche se questa parte del pensiero di Aristotele non è quella che apprezzo di più. Sarà che questo è il giorno successivo all’8 marzo e per questo leggere che la parte impura secondo questa visione deriva dalla donna, anche se frutto della mentalità dell’epoca, non è proprio il massimo. Di Aristotele apprezzo l’etica.
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Ti ringrazio per il commento 🙂
Ho condiviso questo articolo insieme a quello di ieri su Ippocrate per suscitare riflessioni di questo tipo. Premetto che risulta difficile apprezzare – al di là della loro modernità per la razionalità e la scientificità – il pensiero di questi due grandi dell’antichità circa la donna. Ricordo che Aristotele, ad esempio, è stato grandemente criticato per la sua misoginia. Del resto, era la mentalità del suo tempo, con ogni probabilità. L’importante, a mio avviso, è capire “quanta acqua è passata” da allora, e quante conquiste – o meno – siano state fatte.
Sicuramente, Trutzy, troverai altri post filosofici su questo blog 😉 a presto!
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