“Io non lodo gli Ateniesi”: una critica al sistema democratico ([Xen.], Ath. pol. 1, 1-5)

Nel corso della guerra del Peloponneso, di fronte alle difficoltà provocate dal conflitto, ad Atene fra coloro che si erano illusi in una sua rapida soluzione, non mancarono voci, anche autorevoli, che attribuirono la responsabilità di quanto stava accadendo agli esponenti più radicali della democrazia.

Probabilmente, questa nostalgia per un governo democratico moderato o addirittura oligarchico, che escludesse dalla gestione del potere le classi sociali più umili, favorite invece dalle riforme di Efialte e di Pericle, scaturì dalla volontà di trovare un capro espiatorio sul quale sfogare il malcontento della situazione, piuttosto che da ben ragionate motivazioni storiche e politiche; tuttavia, fu anch’essa un eloquente segno dei tempi.

Tale è lo spirito che anima un trattatello di tre capitoli, per un totale di cinquantatré paragrafi, intitolato Costituzione degli Ateniesi (Ἀθηναίων πολιτεία) e inserito nel corpus delle opere di Senofonte.

Per questo motivo il suo autore, a noi sconosciuto, è indicato con l’appellativo di “Pseudo-Senofonte” o anche con quello di “Vecchio oligarca”, escogitato dagli studiosi della scuola inglese con felice fantasia, perché si adegua bene alle sue simpatie politiche, forse più giustificabili in una persona attempata che in un giovane.

L’opera, di carattere retorico-dimostrativo, esprime un punto di vista ostile alla democrazia e delinea, con amara ma realistica rassegnazione, i tratti essenziali della politica interna ateniese e del comportamento della città nei confronti degli alleati. Il fatto che l’autore si esprima in termini molto generali, considerando gli aspetti della politica ateniese senza agganciarli con precisi riferimenti alla realtà storica, rende molto difficile, se non addirittura impossibile, la datazione esatta dell’opuscolo, probabilmente composto prima del 411 a.C., quando avvenne ad Atene il “colpo di Stato” oligarchico dei Quattrocento.

Tale ipotesi è avvalorata dall’affermazione, contenuta nell’opuscolo, che la democrazia ateniese appare invincibile – parole che sarebbero fuori luogo, se fossero state pronunciate dopo che il governo democratico era stato appena abrogato.

Gli esiti negativi della seconda fase della guerra, che intaccarono significativamente il prestigio di Atene sul piano politico, economico e militare, spinsero molti intellettuali del tempo a ricercarne le cause nell’organizzazione democratica della città, profondamente mutata dalle riforme dell’età di Pericle.

Come spesso accade in simili occasioni, nelle quali il desiderio di suggerire la soluzione di uno stato di crisi si manifesta in forme di conservatorismo fine a sé stesso, e perciò antistorico, la difficile situazione della città fu attribuita ai cambiamenti istituzionali, ai quali l’autore dell’opuscolo contrappone il mito di un “buon governo” di stampo nostalgicamente oligarchico.

Pittore Brygos. Scena di votazione con ψῆφοι (gettoni). Pittura vascolare su una κύλιξ attica a figure rosse, c. 490 a.C. Malibu, J. Paul Getty Museum.

[1. 1] Περὶ δὲ τῆς Ἀθηναίων πολιτείας, ὅτι μὲν εἵλοντο τοῦτον τὸν τρόπον τῆς πολιτείας οὐκ ἐπαινῶ διὰ τόδε, ὅτι ταῦθ’ ἑλόμενοι εἵλοντο τοὺς πονηροὺς ἄμεινον πράττειν ἢ τοὺς χρηστούς· διὰ μὲν οὖν τοῦτο οὐκ ἐπαινῶ. ἐπεὶ δὲ ταῦτα ἔδοξεν οὕτως αὐτοῖς, ὡς εὖ διασῴζονται τὴν πολιτείαν καὶ τἆλλα διαπράττονται ἃ δοκοῦσιν ἁμαρτάνειν τοῖς ἄλλοις Ἕλλησι, τοῦτ’ ἀποδείξω.

[2] Πρῶτον μὲν οὖν τοῦτο ἐρῶ, ὅτι δικαίως ‹δοκοῦσιν› αὐτόθι [καὶ] οἱ πένητες καὶ ὁ δῆμος πλέον ἔχειν τῶν γενναίων καὶ τῶν πλουσίων διὰ τόδε, ὅτι ὁ δῆμός ἐστιν ὁ ἐλαύνων τὰς ναῦς καὶ ὁ τὴν δύναμιν περιτιθεὶς τῇ πόλει, καὶ οἱ κυβερνῆται καὶ οἱ κελευσταὶ καὶ οἱ πεντηκόνταρχοι καὶ οἱ πρῳρᾶται καὶ οἱ ναυπηγοί, ‑ οὗτοί εἰσιν οἱ τὴν δύναμιν περιτιθέντες τῇ πόλει πολὺ μᾶλλον ἢ οἱ ὁπλῖται καὶ οἱ γενναῖοι καὶ οἱ χρηστοί. ἐπειδὴ οὖν ταῦτα οὕτως ἔχει, δοκεῖ δίκαιον εἶναι πᾶσι τῶν ἀρχῶν μετεῖναι ἔν τε τῷ κλήρῳ καὶ ἐν τῇ χειροτονίᾳ, καὶ λέγειν ἐξεῖναι τῷ βουλομένῳ τῶν πολιτῶν. [3] ἔπειτα ὁπόσαι μὲν σωτηρίαν φέρουσι τῶν ἀρχῶν χρησταὶ οὖσαι καὶ μὴ χρησταὶ κίνδυνον τῷ δήμῳ ἅπαντι, τούτων μὲν τῶν ἀρχῶν οὐδὲν δεῖται ὁ δῆμος μετεῖναι· ‑ οὔτε τῶν στρατηγιῶν κλήρῳ οἴονταί σφισι χρῆναι μετεῖναι οὔτε τῶν ἱππαρχιῶν· ‑ γιγνώσκει γὰρ ὁ δῆμος ὅτι πλείω ὠφελεῖται ἐν τῷ μὴ αὐτὸς ἄρχειν ταύτας τὰς ἀρχάς, ἀλλ’ ἐᾶν τοὺς δυνατωτάτους ἄρχειν· ὁπόσαι δ’ εἰσὶν ἀρχαὶ μισθοφορίας ἕνεκα καὶ ὠφελείας εἰς τὸν οἶκον, ταύτας ζητεῖ ὁ δῆμος ἄρχειν. [4] ἔπειτα δὲ ὃ ἔνιοι θαυμάζουσιν ὅτι πανταχοῦ πλέον νέμουσι τοῖς πονηροῖς καὶ πένησι καὶ δημοτικοῖς ἢ τοῖς χρηστοῖς, ἐν αὐτῷ τούτῳ φανοῦνται τὴν δημοκρατίαν διασῴζοντες. οἱ μὲν γὰρ πένητες καὶ οἱ δημόται καὶ οἱ χείρους εὖ πράττοντες καὶ πολλοὶ οἱ τοιοῦτοι γιγνόμενοι τὴν δημοκρατίαν αὔξουσιν· ἐὰν δὲ εὖ πράττωσιν οἱ πλούσιοι καὶ οἱ χρηστοί, ἰσχυρὸν τὸ ἐναντίον σφίσιν αὐτοῖς καθιστᾶσιν οἱ δημοτικοί. [5] ἔστι δὲ πάσῃ γῇ τὸ βέλτιστον ἐναντίον τῇ δημοκρατίᾳ· ἐν γὰρ τοῖς βελτίστοις ἔνι ἀκολασία τε ὀλιγίστη καὶ ἀδικία, ἀκρίβεια δὲ πλείστη εἰς τὰ χρηστά, ἐν δὲ τῷ δήμῳ ἀμαθία τε πλείστη καὶ ἀταξία καὶ πονηρία· ἥ τε γὰρ πενία αὐτοὺς μᾶλλον ἄγει ἐπὶ τὰ αἰσχρὰ καὶ ἡ ἀπαιδευσία καὶ ἡ ἀμαθία ‹ἡ› δι’ ἔνδειαν χρημάτων ἐνίοις τῶν ἀνθρώπων.

[1. 1] La costituzione degli Ateniesi, che scelsero questo modo di governarsi, io non l’approvo per questa ragione, e cioè che, avendo scelto siffatta forma, permisero alla canaglia di star meglio dei cittadini onesti; per questo motivo, dunque, io non l’approvo. Ma siccome ciò a loro sembrò giusto, io dimostrerò come bene conservino la loro linea politica, anche perseguendo con coerenza atti che gli altri Greci considerano disdicevoli.

[2] Per prima cosa, dunque, dirò questo, che a buon diritto qui i nullatenenti e il popolino sembrano godere vantaggi sugli aristocratici e sui ricchi, perché è il popolo che conduce le navi e assicura potenza alla città, e così pure i timonieri, i capiciurma, i pentecontarchi, i proreti e gli armatori: sono costoro che forniscono forza alla città, molto più che gli opliti, gli aristocratici e i cittadini onesti. Poiché, insomma, le cose stanno così, appare giusto che a tutti sia dato di partecipare alle cariche pubbliche, sia a quelle per sorteggio sia a quelle elettive e che qualsivoglia cittadino abbia libertà di parola. [3] D’altronde, quelle magistrature, che, se ben esercitate, recano al popolo sicurezza e rischi, se mal gestite, il popolo non vuole rivestirle – infatti, la gente pensa che non sia conveniente aspirare al sorteggio delle strategie o delle ipparchie –; il popolo, infatti, sa che trarrò maggiore giovamento non assumendo tali magistrature, ma lasciando che le rivestano i più capaci. Al contrario, il popolo cerca di esercitare quei ruoli che offrono una ricompensa e che possono essere redditizie per il proprio patrimonio. [4] Inoltre, alcuni stupiscono che gli Ateniesi in ogni ambito attribuiscano maggior importanza al volgo, agli indigenti e ai popolani piuttosto che ai migliori; ma proprio in questo è evidente che essi tutelano la democrazia. Difatti, dato che i poveri, i popolani e i peggiori stanno bene, se gente simile aumenta di numero, essi rafforzano la democrazia; se invece fossero avvantaggiati i ricchi e la gente onesta, allora i popolani renderebbero più forti i loro avversari. [5] In ogni parte della Terra l’aristocrazia è nemica della democrazia: infatti, tra i migliori sono minime la smodatezza e l’ingiustizia, mentre massima è l’inclinazione al bene; invece, nel popolo sono assai diffuse l’ignoranza, l’indisciplina e la malvagità; la povertà spinge la gente ad azioni vergognose e così anche la mancanza di educazione e l’ignoranza, che in certi individui sorgono dalla mancanza di mezzi.

Iscrizione della «Legge contro la tirannide». Personificazione di Democrazia che incorona Demos (bassorilievo). Marmo, 337-376 a.C. ca. da Atene. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Il brano considerato si apre con l’iniziale enunciazione del credo politico dell’autore, che oppone in modo inconciliabile l’ottica dei χρηστοί, la «gente per bene», cioè gli aristocratici, a quella dei πονηρoi, la «canaglia», ovvero i membri del popolo.

Secondo il suo punto di vista, il governo ateniese si fonda su presupposti sbagliati, perché concede potere a chi dovrebbe esserne escluso; tuttavia, il sistema è forte perché si regge su una sua logica perversa e su meccanismi ben funzionanti. Infatti, se è vero che l’egemonia ateniese si regge sulla talassocrazia, allora le classi sociali che hanno permesso alla città di giungere a tale potenza non sono i maggiorenti, che militano fra le schiere dei cavalieri o in quelle degli opliti, ma i popolani, con il loro lavoro di carpentieri, timonieri, rematori.

L’amara constatazione fa un chiaro riferimento alla situazione che si verificò ai tempi di Temistocle, quando lo statista si appoggiò alle classi sociali più umili (θῆτες) per la costituzione e l’equipaggiamento della flotta da guerra che avrebbe dovuto fronteggiare l’armata di Serse a Salamina (480 a.C.). Da quel periodo, infatti, cominciò il declino dell’esercito formato da cavalieri e da opliti, provenienti dalle classi più ricche e altolocate. Tutte le altre riforme, tese a favorire sempre più il popolo a dispetto degli aristocratici, hanno avuto origine da tali presupposti; ed è logico che sia così, perché queste due classi sono opposte per natura in qualunque luogo.

Il passo si conclude con osservazioni che richiamano il rigido conservatorismo di alcuni scrittori del VI secolo a.C., come, per esempio, Teognide di Megara, il quale, come il “Vecchio oligarca”, sottolineava le differenze fra χρηστοί e πονηροί considerandole addirittura frutto di diversità genetica.

In questo senso, l’autore dell’opuscolo appare appena un po’ più tollerante del suo durissimo predecessore, perché concede alla «canaglia» almeno qualche circostanza attenuante: se gli indigenti sono quello che sono, lo devono alla natura, ma in parte anche alla miseria, che li spinge al male e che li ha privati di un’adeguata educazione, grazie alla quale avrebbero potuto migliorare almeno qualche aspetto del loro spregevole carattere.

Poseidone e Apollo. Frammento di rilievo (particolare), marmo, V secolo a.C. dal fregio degli dèi del Partenone. Atene, Museo dell’Acropoli.

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